Direttore d'orchestra. Studiò violoncello con L. Carini e composizione con G. Dacci al conservatorio di Parma, diplomandosi nel 1885. L'anno seguente partì con una compagnia formatasi per una stagione d'opera italiana in Brasile: aveva un contratto come violoncellista, ma al Teatro di Rio, dopo un tempestoso inizio dell'esecuzione di Aida, il direttore brasiliano (L. Miguez) abbandonò il podio, e il giovane strumentista, sollecitato dai colleghi, ne prese il posto. Da allora ebbe inizio una carriera che doveva trasformarsi in una sorta di mito. Sue doti precipue furono la memoria prodigiosa, la capacità e volontà caparbia di trasmettere le sue intenzioni all'orchestra e, sul piano interpretativo, la nitida visione delle architetture d'insieme, l'estrema cura del particolare, il senso elettrizzante del ritmo e delle tensioni musicali, nonché quell'assoluta fedeltà alle prescrizioni dell'autore che segnò un'autentica svolta nelle abitudini dei direttori del tempo. Al suo nome sono legate prime esecuzioni di molte opere (Edmea di Catalani, Pagliacci di Leoncavallo, Bohème, Fanciulla del West, Turandot di Puccini, Nerone di Boito); e le prime in Italia di opere di Wagner (Crepuscolo, Sigfrido). Nel 1898 cominciò a collaborare con la Scala; nel 1908 fu chiamato al Metropolitan di New York e da allora gli Stati Uniti furono la sua seconda patria. Rientrato in Italia nel 1915, alla fine della guerra riorganizzò l'orchestra della Scala, con la quale fece una tournée in Italia e negli Stati Uniti. Nel 1928 diventò direttore stabile della Filarmonica di New York. Nel 1931, invitato a dirigere a Bologna un concerto commemorativo di G. Martucci, essendosi rifiutato di eseguire gli inni ufficiali, fu schiaffeggiato dai fascisti. Lasciò allora l'Italia per gli Stati Uniti, tornandone solo nel 1946 per dirigere il concerto inaugurale della Scala ricostruita. Com'era nella tradizione italiana, l'opera assorbì la maggior parte della sua attività; ancora nel 1950, a 83 anni, registrò dal vivo il Falstaff a New York, dando prova di un'intatta vitalità interpretativa.?Solo nell'ultimo periodo della sua carriera si accostò con maggiore frequenza al genere sinfonico, verso il quale aveva però sempre nutrito un interesse inconsueto in Italia.?Affrontò magistralmente Berlioz, Brahms, Cajkovskij, Debussy, R.?Strauss e l'amatissimo Beethoven.?Poiché al repertorio sinfonico si riferiscono perlopiù le registrazioni tecnicamente più avanzate (quelle successive al '50), resta oggi soprattutto affidata a questo campo la più precisa valutazione del suo contributo alla storia dell'interpretazione.